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FOTO VOLONTARI IN AZIONE
MARIAMARTA NELL'ARTE
LOCANDINA
UNA
SOLIDARIETA’ PER LA VITA
CASA DI ACCOGLIENZA “MARIAMARTA”
……..ero forestiero e mi avete ospitato, malato e mi avete visitato….
ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me. (da Mt, 25,35)
Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli
ripagherà la buona azione.(Pro 19,17)
Bari accoglienza Religiosa, Casa Religiosa di ospitalità , Bari alloggio, Bari
alloggiare, Bari posti letto.
Questa è Casa Mariamarta.
La casa è operante a Bari, presso
la Parrocchia san Luca con lo scopo della accoglienza dei familiari degli
ammalati che vengono a curarsi presso le strutture ospedaliere di Bari.
Non sei di Bari? Vieni da lontano?
Stai assistendo un ammalato ricoverato?
Hai bisogno di un posto letto e di una casa che ti accolga?
CASA MARIAMARTA E' CIO' CHE FA
PER TE!
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UNA STORIA GUIDATA DALLA PROVVIDENZA – sac. Pasquale Amoruoso
I primordi
Frequentavo il secondo anno
di teologia presso il Pontificio seminario teologico di Molfetta, quando
conobbi l’esperienza
di Comunione e Liberazione. In quegl'anni si parlava
molto di Cilla, una diciassettenne del movimento morta in un incidente
stradale. Don Primo Soldi che l’aveva avuta tra i suoi ragazzi scrisse un
libro sull’esperienza di fede viva di questa ragazza.
Il testo lo lessi e lo
proposi a molti amici di quel tempo perché la testimonianza di questa
ragazzina mi accompagnava e
mi aiutava a crescere nella fede. Qualche anno
dopo il padre di Cilla, medico presso l’ospedale di Genova, fondò
l’
”Associazione Cilla” con lo scopo di accogliere e sostenere quanti
affrontavano i cosiddetti “viaggi della speranza”
per curarsi presso le
strutture ospedaliere lontane dalla propria città. Divenuto parroco a San Luca
in Japigia avevo sempre in mente di poter realizzare anche a Bari una casa
“Cilla”. L’occasione si presentò quando la Diocesi di Bari ebbe in
comodato
gratuito, da una facoltosa famiglia di Bari, una villa nel territorio di Japigia. Proposi ai miei confratelli sacerdoti della Vicaria Japigia-Torre a
Mare di attivare presso la stessa una casa di accoglienza. Essi si
espressero favorevolmente, ma all’epoca era necessario individuare una sede
per la Parrocchia di San Benedetto e per il Vicariato territoriale
Episcopale che S. E. Mons. Magrassi aveva da poco istituito a Japigia. Non
se ne fece più niente. Ma nel mio cuore il progetto non l’avevo mai
abbandonato.
L’antefatto
Era il 19 settembre del
2004. Mi trovavo presso la Basilica di San Nicola per celebrare le nozze di
due miei pro cugini. Mentre attendevo l’arrivo degli sposi fui avvicinato da
un giovane di nome Nicola (nome di fantasia) di circa trent’anni che mi
chiese di confessarlo. Nicola da anni non entrava in una chiesa. Ci sedemmo tra i banchi,
distanti dalla folla, e iniziammo la confessione. Nicola esordì subito
dicendo: “Padre sono molto preoccupato e angosciato perché mi è stato
diagnosticato un tumore e dovrei operarmi. Ho paura di non farcela. Ho paura
di morire.” Gli chiesi di dove fosse. Mi rispose che abitava in un paese
distante da Bari circa 40 chilometri e che era venuto in città, presso la
Basilica di San Nicola, per pregare, per chiedere un miracolo e incontrare
un sacerdote con cui parlare. Rimasi sorpreso dal suo esordio. Iniziò a
parlare.
Mi raccontò molto della sua vita. E mi pose molti interrogativi
esistenziali. La domanda che più mi mise
in difficoltà fu
la seguente: “Padre lei crede che guarirò? Ce la farò?”.
Compresi subito che quella domanda rivolta a me era soprattutto rivolta a
Dio. In quel momento Nicola si aspettava che la mia voce fosse quella di
Dio. Avvertii subito un senso
di impotenza. Io, personalmente, non potevo
rispondere a quella domanda né potevo impegnare Dio in alcun modo.
Risposi:
“Nicola questo lo sa soltanto Dio. Abbi fiducia in Lui. Tutto ciò che il
Signore permette è per il nostro bene.
Prega come Gesù stesso ha pregato
nell’orto degli ulivi la sera prima di essere arrestato e di essere messo in
croce.
“Padre se è possibile allontana da me questo calice, sia fatta, però,
non la mia ma la tua volontà”. Continuammo
la confessione. Gli dispensai il
perdono di Dio e promisi che mi sarei ricordato di lui nelle mie preghiere.
Mi chiese se potesse continuare ad incontrarmi. Gli offrii tutta la mia
disponibilità, ma poi si rese conto che la distanza glielo avrebbe impedito.
Ci salutammo. I suoi occhi lacrimavano. Lo abbracciai e senza proferir
parola ci lasciammo solo con una forte stretta
di mano.
Questo incontro drammatico ed
imprevisto, casuale per chi non crede, provvidenziale per chi crede, mi
segnò per il futuro che si stava preparando. Ero andato alla Basilica per
celebrare un matrimonio e intanto il Signore mi fece partecipe del dramma di
Nicola.
L’incontro
Era una mattina di metà
ottobre del 2004. Nel mio studio, da dove si vede chi entra in chiesa,
seduto dietro la mia scrivania, ero intento a leggere. Vidi entrare in
chiesa un giovane che non conoscevo. Si fermò a pregare, tutto solo,
in
silenzio. Rimasi un po’ sorpreso. Difficilmente si vedeva nella mia
parrocchia di periferia, isolata e scarsamente frequentata di mattina, un
giovane che entrava in chiesa per pregare. Mi ricordai subito di Nicola, ma
non volli essere pessimista, poteva essere solo un caso di un giovane di
passaggio. La mattina successiva si
ripeté la stessa scena. Mi resi conto che forse non poteva essere solo un
caso. Quando finì di pregare lo fermai sull’uscio della chiesa, mi presentai
e gli chiesi chi fosse e per qual motivo, per due giorni di seguito, fosse
venuto a pregare. Si presentò: era una ragazzo
del quartiere, aveva vent’ anni, non frequentò più la parrocchia dopo che
ricevette la Cresima e lo persi di vista. Erano passati molti anni e non lo
riconobbi.Mi disse subito: “Don
Pasquale sono venuto a pregare perché domani mi devo ricoverare presso
l’oncologico “Mater Dei” per subire un intervento. Mi descrisse per sommi
capi il suo caso. Era molto ansioso e preoccupato. Non conosceva ancora la
diagnosi definitiva. L’avrebbe saputa dopo l’esame citologico successivo
all’intervento. Si ricoverò. La sera prima dell’intervento andai a trovarlo
e rimasi con lui fino a tarda ora perché mi pregò di restare quanto più
tempo possibile. Dopo l’intervento ci fu
l’esame citologico: la diagnosi era molto preoccupante “linfoma non
Hodgking. Bisognava subito intraprendere una terapia chemioterapia. Per una
serie di motivi la famiglia scelse di curare il loro figlio al San Martino
di Genova. Prendemmo subito contatti con il professor Bagicalupo che ci
fissò l’appuntamento due giorni dopo la telefonata. A Genova trovammo
ospitalità presso una casa Cilla. Per sei settimane di seguito ci siamo
recati a Genova il giovedì. La mattina del venerdì era programmata la
terapia. Rientravamo a Bari in tarda serata. Durante la permanenza a
Genova sono andato a fare visita ad una bambina di 8 mesi della mia
parrocchia che io stesso avevo battezzata qualche mese prima. Intanto anche un altro
ragazzo di 10 anni della mia parrocchia fu colpito da leucemia. Anche la
famiglia di quest’ultimo decise di farlo curare a Genova. Il succedersi di questi
avvenimenti mi portò a frequentare i reparti di oncologia, sia della Mater
Dei sia del Policlinico, dove ebbi modo di constatare ancora una volta che
molti familiari, provenienti da località molto lontane da Bari per assistere
i loro congiunti ricoverati negli ospedali della Città, esprimevano un gran disagio
insieme al dolore che la malattia portava con sé: non sapevano dove
alloggiare perché i costi negli alberghi erano insostenibili, perciò erano
costretti ad arrangiarsi dormendo anche in auto. Chi veniva a curarsi a Bari
non trovava luoghi d’ospitalità. Intanto i primi giorni del
gennaio 2005 avevamo dato inizio ai lavori d’ampliamento delle strutture
pastorali della nostra parrocchia. Nel progetto era prevista anche la
realizzazione di un deposito seminterrato di circa 180 mq.Gli avvenimenti che in quei
giorni stavo vivendo mi portarono a riconsiderare parte del progetto. Chiesi all’ingegner
Carpentieri, direttore dei lavori, se fosse stato possibile realizzare,
all’interno dei locali che stavamo costruendo, una casa d’accoglienza. L’idea suscitò il suo
interesse, ma era da approfondire. Qualche sera più tardi andai
a cena con l’ingegnere e l’avvocato Gaetano Vignola. Riproposi la mia idea.Trovai in loro una grande solidarietà e la sposarono in pieno.Misero, subito, all’opera le
loro rispettive competenze per raggiungere l’obiettivo. La mia comunità che mi aveva
sempre sostenuto durante il periodo delle mie uscite a Genova e aveva
condiviso la sofferenza delle nostre famiglie, si entusiasmò all’idea di
realizzare una casa d’accoglienza nella nostra parrocchia. Il locale che meglio si
prestava ad essere trasformato ed adibito a casa era il deposito di 180 mq.
Fu fatta una serie di modifiche al progetto per poter ottenere tutte le
autorizzazioni necessarie dalla Asl, dal Comune e dai vigili del fuoco. Non
ci siamo arresi. Quando tutto è stato messo in ordine dal punto di vista
giuridico e contabile anche l’Arcivescovo ha dato il suo parere favorevole
e oggi stiamo realizzando un sogno.
Il resto è cronaca…………………..
Perché il nome
Mariamarta?
Nel mentre prendeva corpo
l’idea della casa mi domandavo che nome dare ad essa. Le possibilità erano
infinite, ma il Signore sa sempre dove condurti. Nel febbraio 2006 mi fu
fatta la proposta di svolgere il compito di Padre Spirituale per un gruppo
di collaboratori laici della Beata Madre Teresa di Calcutta che si stava
preparando ad entrare nella famiglia dei Missionari Laici della Carità della
Madre attraverso la professione privata dei voti. Dopo una breve esitazione
dissi a me stesso: “A Madre Teresa non si può dire di no. Lei che non si è
assolutamente risparmiata per nessuno mi chiede un po’ di tempo da dedicare
ai suoi figli. Come posso rifiutarmi?” Inizialmente ero frenato anche dal
fatto che la mia conoscenza della missione di Madre Teresa era piuttosto
generica e superficiale. Avvertivo d’essere inadeguato al compito che mi si
voleva affidare, ma riflettendoci pensai: “Forse darò poco e male ma
sicuramente riceverò molto”. Quindi, accettai. La prima cosa che mi colpì
della vocazione delle Suore era il loro essere, allo stesso tempo tutto per
Dio e tutto per gli altri, contemplative e attive contemporaneamente.
L’insegnamento della Madre era semplice: “ il Cristo che adoriamo
nell’Eucarestia lo ritroviamo nel volto d’ogni singolo uomo. Esiste una
naturale continuità tra il Cristo adorato nell’Ostia Consacrata e quello
incontrato nel povero. E’ lo stesso Cristo. Il primo sotto le specie del
pane e del vino, il secondo nel volto di ogni uomo, “dell’ammalato”, “del
carcerato”, “del forestiero”, “dell’affamato”, “dell’assetato”,
“dell’ignudo”. Gesù stesso ha detto: “Qualunque cosa avrete fatto, anche al
più piccolo di questi miei fratelli l’avrete fatto a me. (Mt. 25,40). La
grande famiglia della Beata Madre Teresa sintetizza perfettamente e
idealmente le due sorelle del Vangelo: Maria d’indole contemplativa e Marta
d’indole attiva. Queste due sorelle, inoltre, con il loro fratello Lazzaro
erano molto amiche di Gesù. Esse abitavano in Betania, un villaggio distante
solo qualche chilometro da Gerusalemme. Era consuetudine che Gesù, quando si
recava a Gerusalemme, dopo aver percorso molti chilometri a piedi per strade
polverose e sotto il sole cocente della Palestina, era ospite di Maria,
Marta e Lazzaro. Lì si rinfrescava, si ristorava, si riposava e poi
proseguiva per Gerusalemme. Quando ho dovuto
decidere che nome dare alla casa di accoglienza tutte queste riflessioni mi
sono tornate alla mente. San Benedetto nella sua regola cap. LIII versetto 1
scrive: “Tutti gli ospiti che giungono in monastero
siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e
mi avete accolto". Cristo è stato accolto da
Maria e Marta. Coloro che avrebbero bussato alla nostra casa dovevano essere
accolti come Gesù e ad accoglierli dovevano essere delle persone come Maria
e Marta. Di qui il nome “Mariamarta”
che è anche un programma di vita. Definisce l’identità e la modalità dell’accoglienza. Dopo aver deciso il nome
sono stato molto confortato dal fatto che un giorno leggendo il testo “Madre
Teresa: lo splendore della carità” di Maria Di Lorenzo” ed. Paoline trovavo
scritto a pag. 36 che quando Madre Teresa ebbe quella che chiamerà “la
chiamata nella chiamata” la voce che la interpellava era veramente quella di
Gesù che con tono deciso le disse: “Desidero suore indiane, vittime del mio
amore, che siano Maria e Marta, che siano totalmente unite a Me da
irradiare il mio amore sulle anime. Desidero suore libere rivestite della
Mia povertà della croce, desidero suore obbedienti, rivestite della Mia
obbedienza alla croce, desidero suore piene d’amore rivestite della carità
della croce. Rifiuterai tu di fare queste cose per me?” Ho avuto un sussulto
di gioia. Inconsapevolmente da parte mia, la Beata Madre Teresa, attraverso
l’incontro con la Sua esperienza vivente, mi aveva suggerito il nome.
Voglia il Signore benedire
ogni nostro santo intendimento e la Beata Madre Teresa interceda sempre per
noi.
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alloggiare, Bari posti letto.
Questa è Casa Mariamarta.
La Casa di accoglienza nasce prevalentemente per ospitare a Bari, per
dormire a Bari, per offrire un posto letto a Bari, per offrire un alloggio a
Bari, ai familiari che assistono i propri congiunti ricoverati presso gli
ospedali di Bari: Policlinico, Mater Dei, Istituto Oncologico Giovanni Paolo
II, Casa di Cura Santa Maria, Casa di cura Villa Bianca, Casa di cura Santa
Rita, Ospedale Di Venere di Carbonara, Ospedale Pediatrico Giovanni
XXIII. Torna su
Oggetto: richiesta di autorizzazione per la
realizzazione della casa di accoglienza “Mariamarta”
Ecc. Rev.ma,
le opere appaltate per
l’ampliamento della Chiesa Parrocchiale di San Luca 1° stralcio sono state
completate. Stiamo predisponendo tutti gli atti necessari per l’ottenimento
del rilascio del certificato di agibilità relativo alle sole aule
catechistiche site al piano terra che è subordinato alla sistemazione
perimetrale del cortile al piano interrato.
Desidero esprimere a
Lei, a don Gaetano Coviello e al diacono Bruno Ressa il mio personale
ringraziamento e quello di tutta la comunità per averci sostenuto
proficuamente in questa impresa.
Sento anche il dovere di
ringraziare l’ing. Domenico Carpentieri che insieme al figlio Pietro sono
stati i progettisti e direttori dei lavori. Essi hanno svolto egregiamente
il loro compito con grande senso di responsabilità ed affezione verso la
nostra comunità
Ringrazio anche l’Impresa
“NOUS” di Vito Triggiani la quale in sintonia con il sottoscritto e con il
direttore dei lavori ha mostrato grande sensibilità e disponibilità nei
nostri confronti.
Dalla stessa documentazione
si evince che restano altre opere da completare:
il piano interrato, il
salone del primo piano, gli impianti sportivi e la casa canonica.
Sentito il Consiglio
Pastorale parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici, nel rispetto
della vigente disciplina urbanistico-edilizia, la comunità desidera, oggi,
finalizzare ogni suo sforzo per la realizzazione nel piano interrato, che
misura circa 150 mq utili, di una foresteria con finalità recettiva nei
confronti delle famiglie bisognose degli ammalati che vengono a curarsi a
Bari. Lo scorso anno la comunità ha condiviso la sofferenza di tre
parrocchiani un giovane di 20 anni, una bambina di 8 mesi e un bambino di 10
anni colpiti da neoplasia.
Gli stessi dopo le prime
cure ricevute a Bari, si sono recati presso gli ospedali San Martino e
Gaslini di Genova. Il sottoscritto ha accompagnato personalmente il giovane
di 20 anni tutte le 6 volte che questi si è recato a Genova per la
chemioterapia.
Il contatto ravvicinato
con le nostre strutture ospedaliere ci ha fatto toccare con mano quanto
urgente sia il bisogno per molte famiglie che vengono a curarsi a Bari di
avere una struttura caritativa che le accolga senza dovere sopportare gli
onerosi costi degli alberghi.
Provati da questa esperienza
abbiamo pensato che il piano interrato, che inizialmente sarebbe stato
adibito a deposito, potesse essere utilizzato come foresteria. A Bari,
infatti, abbiamo il Policlinico l’Oncologico e l’Ospedaletto dei bambini
Giovanni XXIII, oltre a tante altre case di cura private o convenzionate con
la Regione che accolgono ammalati dal centro ma soprattutto dal sud Italia.
L’ubicazione della nostra parrocchia collocata a ridosso della tangenziale è
strategicamente favorevole per il raggiungimento di tali strutture
ospedaliere che non distano molto da essa e sono, comunque, facilmente
raggiungibili con i mezzi pubblici. Il progetto prevede la realizzazione tre
mini appartamenti che potranno ospitare 5 persone.
Tutta la comunità che
aveva sempre chiaro davanti a sé le parole di Cristo “ero forestiero e mi
avete ospitato, ero malato e mi avete visitato…..” nel mentre s’interrogava
sulla fattibilità della casa ha trovato ulteriore conforto
nel libro del Sinodo che ai numeri 288 e 289
invita le comunità parrocchiali a porre attenzione alle famiglie visitate
dalla malattia e a preparare presso le proprie strutture stanze autonome
destinate all’ospitalità dei parenti degli ammalati.
Inoltre, la lettera
enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas est” al numero n. 30, parlando
delle “molteplici strutture di servizio caritativo nell’odierno contesto
sociale, elenca testualmente “l’offerta di alloggio e di accoglienza.”
Nella stessa Enciclica al n.
31 il Santo Padre coglie “nella purezza e gratuità dell’amore
la miglior testimonianza del Dio nel quale
crediamo e dal quale siamo spinti ad amare.”
Da ultimo, non vanno
assolutamente sottovalutati i vantaggi spirituali che la casa di
accoglienza, quale palestra di educazione alla carità, avrebbe per tutta la
comunità posta ogni giorno di fronte al mistero della sofferenza, né tanto
meno gli effetti di promozione umana che ricadrebbero positivamente su tutto
il territorio parrocchiale.
Il nostro territorio da
sempre ghettizzato e additato per l’annoso problema della malavita
organizzata diventerebbe un segno concreto di solidarietà, di speranza e di
vita.
La finalità di tale opera ha
trovato largo consenso sia presso i medici che sono venuti a conoscenza del
nostro progetto sia presso benefattori e fedeli pronti ad esporsi
economicamente per la sua realizzazione.
Premesso tutto ciò
rivolgo a Lei, Eccellenza, formale richiesta di autorizzazione per la
realizzazione della casa alla quale noi comunità di San Luca vogliamo
dare il nome “Casa di accoglienza MARIAMARTA” con un riferimento evangelico
molto evidente. La casa di Maria e Marta ha sempre accolto Cristo e le due
sorelle, sia pur nella diversità dei compiti, lo hanno servito con tanto
amore.
Confidando nella Sua
paternità che ha sempre dimostrato nei confronti della mia persona e di
tutta la comunità di San Luca e nel Suo ministero di Vescovo che presiede
alla carità siamo fiduciosi che accoglierà la nostra richiesta.
Suo aff.mo sacerdote
Bari, 03/03/07
sac. Pasquale Amoruoso
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