Casella di testo: L’opera che ammirate rappresenta le due sorelle del Vangelo Maria e Marta. 
I loro sguardi fissano Cristo sia pur nella diversità della loro vocazione: 
Maria (a destra) è chiamata alla contemplazione, 
Marta (a sinistra) è chiamata all’azione; ambedue sono chiamate a servire Cristo negli altri.

Cristo è rappresentato dai raggi bianchi che dal centro si irradiano verso la periferia dove assumono le sembianze di volti di persone (uomini – donne- bambini – Chiesa – poveri) perché 
Cristo lo si contempla e lo si serve negli altri.
 Le linee ovali che racchiudono i volti esprimono il senso dell’abbraccio e dell’accoglienza ma richiamano anche l’utero della Madonna e della Chiesa:la loro maternità genera e dona all’uomo la vita che è Cristo.
L’autrice è la prof.ssa Diana Sabia che ha voluto far dono della sua opera a Casa Mariamarta.
 
                                                        
 
 
 
     
 

San Luca

PARROCCHIA SAN LUCA - BARI

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UNA SOLIDARIETA’ PER LA VITA

CASA DI ACCOGLIENZA “MARIAMARTA”

……..ero forestiero e mi avete ospitato, malato e mi avete visitato…. ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. (da Mt, 25,35)

Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore che gli ripagherà la buona azione.(Pro 19,17)

 

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Questa è Casa Mariamarta.
 

La casa è operante a Bari, presso la Parrocchia san Luca con lo scopo della accoglienza dei familiari degli ammalati che vengono a curarsi presso le strutture ospedaliere di Bari.
Non sei di Bari? Vieni da lontano?
Stai assistendo un ammalato ricoverato?
Hai bisogno di un posto letto e di una casa che ti accolga?

CASA MARIAMARTA E' CIO' CHE FA PER TE!
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UNA STORIA GUIDATA DALLA PROVVIDENZA – sac. Pasquale Amoruoso

 

I primordi

 

Frequentavo il secondo anno di teologia presso il Pontificio seminario teologico di Molfetta, quando conobbi l’esperienza
di Comunione e Liberazione. In quegl'anni si parlava molto di Cilla, una diciassettenne del movimento morta in un incidente stradale. Don Primo Soldi che l’aveva avuta tra i suoi ragazzi scrisse un libro sull’esperienza di fede viva di questa ragazza.
 Il testo lo lessi e lo proposi a molti amici di quel tempo perché la testimonianza di questa ragazzina mi accompagnava e
mi aiutava a crescere nella fede. Qualche anno dopo il padre di Cilla, medico presso l’ospedale di Genova, fondò
l’ ”Associazione Cilla” con lo scopo di accogliere e sostenere quanti affrontavano i cosiddetti “viaggi della speranza”
per curarsi presso le strutture ospedaliere lontane dalla propria città. Divenuto parroco a San Luca in Japigia avevo sempre in mente di poter realizzare anche a Bari una casa “Cilla”. L’occasione si presentò quando la Diocesi di Bari ebbe in
 comodato gratuito, da una facoltosa famiglia di Bari, una villa nel territorio di Japigia. Proposi ai miei confratelli sacerdoti della Vicaria Japigia-Torre a Mare di attivare presso la stessa una casa di accoglienza. Essi si espressero favorevolmente, ma all’epoca era necessario individuare una sede per la Parrocchia di San Benedetto e per il Vicariato territoriale Episcopale che S. E. Mons. Magrassi aveva da poco istituito a Japigia. Non se ne fece più niente. Ma nel mio cuore il progetto non l’avevo mai abbandonato.

L’antefatto

Era il 19 settembre del 2004. Mi trovavo presso la Basilica di San Nicola per celebrare le nozze di due miei pro cugini. Mentre attendevo l’arrivo degli sposi fui avvicinato da un giovane di nome Nicola (nome di fantasia) di circa trent’anni che mi chiese di confessarlo. Nicola da anni non entrava in una chiesa. Ci sedemmo tra i banchi, distanti dalla folla, e iniziammo la confessione. Nicola esordì subito dicendo: “Padre sono molto preoccupato e angosciato perché mi è stato diagnosticato un tumore e dovrei operarmi. Ho paura di non farcela. Ho paura di morire.” Gli chiesi di dove fosse. Mi rispose che abitava in un paese distante da Bari circa 40 chilometri e che era venuto in città, presso la Basilica di San Nicola, per pregare, per chiedere un miracolo e incontrare un sacerdote con cui parlare. Rimasi sorpreso dal suo esordio. Iniziò a parlare.
Mi raccontò molto della sua vita. E mi pose molti interrogativi esistenziali. La domanda che più mi mise in difficoltà fu
la seguente: “Padre lei crede che guarirò? Ce la farò?”. Compresi subito che quella domanda rivolta a me era soprattutto rivolta a Dio. In quel momento Nicola si aspettava che la mia voce fosse quella di Dio. Avvertii subito un senso
di impotenza. Io, personalmente, non potevo rispondere a quella domanda né potevo impegnare Dio in alcun modo. 
Risposi: “Nicola questo lo sa soltanto Dio. Abbi fiducia in Lui. Tutto ciò che il Signore permette è per il nostro bene.
Prega come Gesù stesso ha pregato nell’orto degli ulivi la sera prima di essere arrestato e di essere messo in croce.
“Padre se è possibile allontana da me questo calice, sia fatta, però, non la mia ma la tua volontà”. Continuammo
la confessione. Gli dispensai il perdono di Dio e  promisi che mi sarei ricordato di lui nelle mie preghiere. Mi chiese se potesse continuare ad incontrarmi. Gli offrii tutta la mia disponibilità, ma poi si rese conto che la distanza glielo avrebbe impedito.
Ci salutammo. I suoi occhi lacrimavano. Lo abbracciai e senza proferir parola ci lasciammo solo con una forte stretta
di mano.  
Questo incontro drammatico ed imprevisto, casuale per chi non crede, provvidenziale per chi crede, mi segnò per il futuro che si stava preparando. Ero andato alla Basilica per celebrare un matrimonio e intanto il Signore mi fece partecipe del dramma di Nicola.

L’incontro

Era una mattina di metà ottobre del 2004. Nel mio studio, da dove si vede chi entra in chiesa, seduto dietro la mia scrivania, ero intento a leggere. Vidi entrare in chiesa un giovane che non conoscevo. Si fermò  a pregare, tutto solo,
in silenzio. Rimasi un po’ sorpreso. Difficilmente si vedeva nella mia parrocchia di periferia, isolata e scarsamente frequentata di mattina, un giovane che entrava in chiesa per pregare. Mi ricordai subito di Nicola, ma non volli essere pessimista, poteva essere solo un caso di un giovane di passaggio. La mattina successiva si ripeté la stessa scena. Mi resi conto che forse non poteva essere solo un caso. Quando finì di pregare lo fermai sull’uscio della chiesa, mi presentai e gli chiesi chi fosse e per qual motivo, per due giorni di seguito, fosse venuto a pregare. Si presentò: era una ragazzo del quartiere, aveva vent’ anni, non frequentò più la parrocchia dopo che ricevette la Cresima e lo persi di vista. Erano passati molti anni e non lo riconobbi.Mi disse subito: “Don Pasquale sono venuto a pregare perché domani mi devo ricoverare presso l’oncologico “Mater Dei” per subire un intervento. Mi descrisse per sommi capi il suo caso. Era molto ansioso e preoccupato. Non conosceva ancora la diagnosi definitiva. L’avrebbe saputa dopo l’esame citologico successivo all’intervento. Si ricoverò. La sera prima dell’intervento andai a trovarlo e rimasi con lui fino a tarda ora perché mi pregò di restare quanto più tempo possibile. Dopo l’intervento ci fu l’esame citologico: la diagnosi era molto preoccupante “linfoma non Hodgking. Bisognava subito intraprendere una terapia chemioterapia. Per una serie di motivi la famiglia scelse di curare il loro figlio al San Martino di Genova. Prendemmo subito contatti con il professor Bagicalupo che ci fissò l’appuntamento due giorni dopo la telefonata. A Genova trovammo ospitalità presso una casa Cilla. Per sei settimane di seguito ci siamo recati a Genova il giovedì. La mattina del venerdì era programmata la terapia. Rientravamo a Bari in tarda serata. Durante la permanenza a Genova sono andato a fare visita ad una bambina di 8 mesi della mia parrocchia che io stesso avevo battezzata qualche mese prima. Intanto anche un altro ragazzo di 10 anni della mia parrocchia fu colpito da leucemia. Anche la famiglia di quest’ultimo decise di farlo curare a Genova. Il succedersi di questi avvenimenti mi portò a frequentare i reparti di oncologia, sia della Mater Dei sia del Policlinico, dove ebbi modo di constatare ancora una volta che molti familiari, provenienti da località molto lontane da Bari per assistere i loro congiunti ricoverati negli ospedali della Città, esprimevano un gran disagio insieme al dolore che la malattia portava con sé: non sapevano dove alloggiare perché i costi negli alberghi erano insostenibili, perciò erano costretti ad arrangiarsi dormendo anche in auto. Chi veniva a curarsi a Bari non trovava luoghi d’ospitalità. Intanto i primi giorni del gennaio 2005 avevamo dato inizio ai lavori d’ampliamento delle strutture pastorali della nostra parrocchia. Nel progetto era prevista anche la realizzazione di un deposito seminterrato di circa 180 mq.Gli avvenimenti che in quei giorni stavo vivendo mi portarono a riconsiderare parte del progetto. Chiesi all’ingegner Carpentieri, direttore dei lavori, se fosse stato possibile realizzare, all’interno dei locali che stavamo costruendo, una casa d’accoglienza. L’idea suscitò il suo interesse, ma era da approfondire.   Qualche sera più tardi andai a cena con l’ingegnere e l’avvocato Gaetano Vignola.     Riproposi la mia idea.Trovai in loro una grande solidarietà e la sposarono in pieno.Misero, subito, all’opera le loro rispettive competenze per raggiungere l’obiettivo. La mia comunità che mi aveva sempre sostenuto durante il periodo delle mie uscite a Genova e aveva condiviso la sofferenza delle nostre famiglie, si entusiasmò all’idea di realizzare una casa d’accoglienza nella nostra parrocchia.  Il locale che meglio si prestava ad essere trasformato ed adibito a casa era il deposito di 180 mq. Fu fatta una serie di modifiche al progetto per poter ottenere tutte le autorizzazioni necessarie dalla Asl, dal Comune e dai vigili del fuoco. Non ci siamo arresi. Quando tutto è stato messo  in ordine dal punto di vista giuridico e contabile  anche l’Arcivescovo ha dato il suo parere favorevole e oggi stiamo realizzando un sogno.

Il resto è cronaca…………………..

                                                                                             

Perché il nome Mariamarta?

Nel mentre prendeva corpo l’idea della casa mi domandavo che nome dare ad essa. Le possibilità erano infinite, ma il Signore sa sempre dove condurti. Nel febbraio 2006 mi fu fatta la proposta di svolgere il compito di Padre Spirituale per un gruppo di collaboratori laici della Beata Madre Teresa di Calcutta che si stava preparando ad entrare nella famiglia dei Missionari Laici della Carità della Madre attraverso la professione privata dei voti. Dopo una breve esitazione dissi a me stesso: “A Madre Teresa non si può dire di no. Lei che non si è assolutamente risparmiata per nessuno mi chiede un po’ di tempo da dedicare ai suoi figli. Come posso rifiutarmi?” Inizialmente ero frenato anche dal fatto che la mia conoscenza della missione di Madre Teresa era piuttosto generica e superficiale. Avvertivo d’essere inadeguato al compito che mi si voleva affidare, ma riflettendoci pensai: “Forse darò poco e male ma sicuramente riceverò molto”. Quindi, accettai. La prima cosa che mi colpì della vocazione delle Suore era il loro essere, allo stesso tempo tutto per Dio e tutto per gli altri, contemplative e attive contemporaneamente. L’insegnamento della Madre era semplice: “ il Cristo che adoriamo nell’Eucarestia lo ritroviamo nel volto d’ogni singolo uomo. Esiste una naturale continuità tra il Cristo adorato nell’Ostia Consacrata e quello incontrato nel povero. E’ lo stesso Cristo. Il primo sotto le specie del pane e del vino, il secondo nel volto di ogni uomo, “dell’ammalato”, “del carcerato”, “del forestiero”, “dell’affamato”, “dell’assetato”, “dell’ignudo”. Gesù stesso ha detto: “Qualunque cosa avrete fatto, anche al più piccolo di questi miei fratelli l’avrete fatto a me. (Mt. 25,40). La grande famiglia della Beata Madre Teresa sintetizza perfettamente e idealmente le due sorelle del Vangelo: Maria d’indole contemplativa e Marta d’indole attiva. Queste due sorelle, inoltre, con il loro fratello Lazzaro erano molto amiche di Gesù. Esse abitavano in Betania, un villaggio distante solo qualche chilometro da Gerusalemme. Era consuetudine che Gesù, quando si recava a Gerusalemme, dopo aver percorso molti chilometri a piedi per strade polverose e sotto il sole cocente della Palestina, era ospite di Maria, Marta e Lazzaro. Lì si rinfrescava, si ristorava, si riposava e poi proseguiva per Gerusalemme. Quando ho dovuto decidere che nome dare alla casa di accoglienza tutte queste riflessioni mi sono tornate alla mente. San Benedetto nella sua regola cap. LIII versetto 1 scrive: “Tutti gli ospiti che giungono in monastero siano ricevuti come Cristo, poiché un giorno egli dirà: "Sono stato ospite e mi avete accolto".  Cristo è stato accolto da Maria e Marta. Coloro che avrebbero bussato alla nostra casa dovevano essere accolti come Gesù e ad accoglierli dovevano essere delle persone come Maria e Marta. Di qui il nome “Mariamarta” che è anche un programma di vita. Definisce l’identità e la modalità dell’accoglienza. Dopo aver deciso il nome sono stato molto confortato dal fatto che un giorno leggendo il testo “Madre Teresa: lo splendore della carità” di Maria Di Lorenzo” ed. Paoline trovavo scritto a pag. 36 che quando Madre Teresa ebbe quella che chiamerà “la chiamata nella chiamata” la voce che la interpellava era veramente quella di Gesù  che con tono deciso le disse: “Desidero suore indiane, vittime del mio amore, che siano Maria e Marta, che siano totalmente unite a Me da irradiare il mio amore sulle anime. Desidero suore libere rivestite della Mia povertà della croce, desidero suore obbedienti, rivestite della Mia obbedienza alla croce, desidero suore piene d’amore rivestite della carità della croce. Rifiuterai tu di fare queste cose per me?” Ho avuto un sussulto di gioia. Inconsapevolmente da parte mia, la Beata Madre Teresa, attraverso l’incontro con la Sua esperienza vivente, mi aveva suggerito il nome.

Voglia il Signore benedire ogni nostro santo intendimento e la Beata Madre Teresa interceda sempre per noi.

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Questa è Casa Mariamarta.
La Casa di accoglienza nasce prevalentemente per ospitare a Bari, per dormire a Bari, per offrire un posto letto a Bari, per offrire un alloggio a Bari, ai familiari che assistono i propri congiunti ricoverati presso gli ospedali di Bari: Policlinico, Mater Dei, Istituto Oncologico Giovanni Paolo II, Casa di Cura Santa Maria, Casa di cura Villa Bianca, Casa di cura Santa Rita, Ospedale Di Venere di Carbonara, Ospedale Pediatrico  Giovanni XXIII.

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Oggetto: richiesta di autorizzazione per la realizzazione della casa di accoglienza “Mariamarta”

Ecc. Rev.ma,

      le opere appaltate per l’ampliamento della Chiesa Parrocchiale di San Luca 1° stralcio sono state completate. Stiamo predisponendo tutti gli atti necessari per l’ottenimento del rilascio del certificato di agibilità relativo alle sole aule catechistiche site al piano terra che è subordinato alla sistemazione perimetrale del cortile al piano interrato.

     Desidero esprimere a Lei, a don Gaetano Coviello e al diacono Bruno Ressa il mio personale ringraziamento e quello di tutta la comunità per averci sostenuto proficuamente in questa impresa.

Sento anche il dovere  di ringraziare l’ing. Domenico Carpentieri che insieme al figlio Pietro sono stati i progettisti e direttori dei lavori. Essi hanno svolto egregiamente il loro compito con grande senso di responsabilità ed affezione verso la nostra comunità

Ringrazio anche l’Impresa “NOUS” di Vito Triggiani la quale in sintonia con il sottoscritto e con il direttore dei lavori ha mostrato grande sensibilità e disponibilità nei nostri confronti.

Dalla stessa documentazione si evince che restano altre opere da completare:

il piano interrato, il salone del primo piano, gli impianti sportivi e la casa canonica.

Sentito il Consiglio Pastorale parrocchiale e il Consiglio per gli affari economici, nel rispetto della vigente disciplina urbanistico-edilizia, la comunità desidera, oggi, finalizzare ogni suo sforzo per la realizzazione nel piano interrato, che misura circa 150 mq utili, di una foresteria con finalità recettiva nei confronti delle famiglie bisognose degli ammalati che vengono a curarsi a Bari. Lo scorso anno la comunità ha condiviso la sofferenza di tre parrocchiani un giovane di 20 anni, una bambina di 8 mesi e un bambino di 10 anni colpiti da neoplasia.

Gli stessi dopo le prime cure ricevute a Bari, si sono recati  presso gli ospedali San Martino e Gaslini di Genova. Il sottoscritto ha accompagnato personalmente il giovane di 20 anni tutte le 6 volte che questi si è recato a Genova per la chemioterapia.

    Il contatto ravvicinato con le nostre strutture ospedaliere ci ha fatto toccare con mano quanto urgente sia il bisogno per molte famiglie che vengono a curarsi a Bari di avere una struttura caritativa che le accolga senza dovere sopportare gli onerosi costi degli alberghi.

Provati da questa esperienza abbiamo pensato che il piano interrato, che inizialmente sarebbe stato adibito a deposito, potesse essere utilizzato come foresteria. A Bari, infatti, abbiamo il Policlinico l’Oncologico e l’Ospedaletto dei bambini Giovanni XXIII, oltre a tante altre case di cura private o convenzionate con la Regione che accolgono ammalati dal centro ma soprattutto dal sud Italia. L’ubicazione della nostra parrocchia collocata a ridosso della tangenziale è strategicamente favorevole per il raggiungimento di tali strutture ospedaliere che non distano molto da essa e sono, comunque, facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici. Il progetto prevede la realizzazione tre mini appartamenti che potranno ospitare 5 persone.

    Tutta la comunità che aveva sempre chiaro davanti a sé le parole di Cristo “ero forestiero e mi avete ospitato, ero malato e mi avete visitato…..” nel mentre s’interrogava sulla fattibilità della casa ha trovato ulteriore conforto nel libro del Sinodo che  ai numeri 288 e 289  invita le comunità parrocchiali a porre attenzione alle famiglie visitate dalla malattia e a preparare presso le proprie strutture stanze autonome destinate all’ospitalità dei parenti degli ammalati.

Inoltre, la lettera enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas est” al numero n. 30, parlando delle “molteplici strutture di servizio caritativo nell’odierno contesto sociale, elenca testualmente “l’offerta di alloggio e di accoglienza.”

Nella stessa Enciclica al n. 31 il Santo Padre coglie  “nella purezza e gratuità dell’amore  la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare.”

Da ultimo, non vanno assolutamente sottovalutati i vantaggi spirituali che la casa di accoglienza, quale palestra di educazione alla carità, avrebbe per tutta la comunità posta ogni giorno di fronte al mistero della sofferenza, né tanto meno gli effetti di promozione umana che ricadrebbero positivamente su tutto il territorio parrocchiale.

Il nostro territorio da sempre ghettizzato e additato per l’annoso problema della malavita organizzata diventerebbe un segno concreto di solidarietà, di speranza e di vita. 

La finalità di tale opera ha trovato largo consenso sia presso i medici che sono venuti a conoscenza del nostro progetto sia presso benefattori e fedeli pronti ad esporsi economicamente per la sua realizzazione.

    Premesso tutto ciò rivolgo a Lei, Eccellenza, formale richiesta di autorizzazione per la realizzazione della casa alla quale noi comunità di San Luca vogliamo dare il nome “Casa di accoglienza MARIAMARTA” con un riferimento evangelico molto evidente. La casa di Maria e Marta ha sempre accolto Cristo e le due sorelle, sia pur nella diversità dei compiti, lo hanno servito con tanto amore.

 Confidando nella Sua paternità che ha sempre dimostrato nei confronti della mia persona e di tutta la comunità di San Luca e nel Suo ministero di Vescovo che presiede alla carità siamo fiduciosi che accoglierà la nostra richiesta.                                                                                                  

  Suo aff.mo sacerdote

Bari, 03/03/07                        

  sac. Pasquale Amoruoso                   

 

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